Quest’anno, come tutti gli anni, nel mio zaino ho messo delle cose e ne ho tolte delle altre. Percorrendo il 2015 ho incrociato nuove facce, reincontrate alcune e perse altre.
Sullo zaino nuovi strappi e nuove toppe, nuovi ciondoli e nuovo sporco.
Penzolano ora dalle cerniere dello zaino Kelly e Rodrigo, mai veramente compagni d’affari, ma da subito compagni di vita.
Insieme a loro, un gruppo di oriundi americani, nessuno veramente americano e nessuno veramente oriundo, ma che si sforzano di adattarsi a quello che hanno intorno. Amici facili, comodi come il divano di casa.
Al centro penzola una crew formata da un’istintivo sentimento di appartenenza reciproca, una famiglia che, appollaiata sul cocuzzolo di un paese, ha suggellato quell’istinto stringendo i nodi e tendendo le corde che la tengono insieme.
Un amore trasformato che segue a scorrere dentro le vene, passando per il cuore, gli organi e gli arti e raggiungendo le periferie della mia anima. Che ha cambiato posizione, ma che è saldato solido allo scheletro del mio zaino.
La purezza ritrovata dell’inafferrabile furetto col suo cuore in legno, corde e crini di cavallo, che assaggia la vita a grandi bocconi, ma inghiotte solo dopo aver ben assaporato tutto. Che dispensa fiocchi di saggezza leggeri come è leggero il suo pensiero.
Il buongiorno mattutino della mia compagna di una vita, l’orologio lento e le canzoni sotto la doccia che rischiarano il cielo qualunque sia la tempesta.
Un volto ritrovato, un grande universo in un piccolo contenitore, solido e fragile, aristocratico e popolare, in cerca di una casa in cui riposare.
Un volto nuovo, uno sguardo esotico, ricco di fresco talento e affamato di sensazioni, determinato a puntare verso la prossima meta, caparbio nel raggiungere il traguardo ad ogni costo anche avesse una zavorra da trascinare.
Nella tasca delle consapevolezze aggiungo la fatica di camminare scalzo sul terreno pietroso dei soldi e degli affari. I dolori non mi hanno sorpreso, ma l’esperienza forgia gli strumenti per affrontarli. Il callo si forma sotto i piedi, ma lentamente.
La rivelata distinzione fra bene e male. Il buffo professor Bellavista ha soffiato via l’atavica nebbia che circondava questo millenario dilemma. La metafora dell’interrogativo e dell’esclamativo mi regala una preziosa chiave di lettura utile per il resto della strada che dovrò fare. Certamente una chiave pretenziosa, che non aprirà tutti i lucchetti, ma che è sufficiente, per adesso.
Ci metto una rinforzata volontà di costruire da me il pianeta in cui vivere, non riesco e non voglio adattarmi a questo. Con la nuova idea del luogo dove piantarla, si materializza il primo importante tassello che rende l’utopia della comune meno lontana.
Legato insieme a questo con un elastico c’è il nuovo significato della parola “Casa” che non è più un luogo geografico, ma si trasforma nel sinonimo di “Famiglia”. La casa è dove ti senti al sicuro, comodo, dove riprendi le forze, dove non hai bisogno di spiegarti molto per farti capire, come la famiglia, qualunque sia la famiglia. Riconoscere la tua casa è facile, è come riconoscere l’amore. Lo sai e basta.
Tolgo dallo zaino l’integralismo razionalista, quell’approccio scentifico ad ogni nuova domanda, così indisponente. Riservo una piccola tasca a tutti quei pensieri che mi piacerà mantenere nel limbo dell’inspiegabile, del magico. Farò del mio meglio per tenerli lontani dalla metodica scientifica in cui il mio cervello è inzuppato, per lasciarli così, inspiegati e affascinanti, romantici, belli.
Tolgo anche un pezzo importante. Il più ingombrante degli oggetti che il mio zaino ha trasportato fin qui. Il più pesante, che ha gravato sulla mia spina dorsale per molti passi. Che mi ha lasciato soddisfazioni, insoddisfazioni e ferite profonde. Trasportarlo mi ha insegnato più di qualunque scuola. Persino l’atto stesso di toglierlo dallo zaino è stato educativo, mi ha ferito le mani e le braccia lasciando qualche goccia di sangue sulla stoffa che lo conteneva.
Lo lascio sul tavolo con scritto “prendi tutto quello che ti può servire” perché chi viene dopo lo possa utilizzare meglio di come ho fatto io. Lo riconoscerete facilmente è quello a forma di carota.
Lascio questo spazio vuoto, servirà a contenere il prossimo pezzo importante della mia vita.
Quello che vado a prendere ora. Il miglior antidoto contro lo sconforto di aver fallito è aver tentato. Auguratemi buona fortuna.
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