Gli americani stanno per scegliere il loro presidente. Stanno per scegliere la persona che guiderà la politica americana per i prossimi 8 anni, ma che influenzerà pesantemente anche l’umore del mondo intero. Hanno fra le possibili scelte il miglior candidato degli ultimi 40 anni, l’unico che ha sollevato il più grosso dei problemi della politica cioè l’enorme influenza dei poteri economici e lobbistici su di essa, e il peggior candidato degli ultimi 40 anni, l’ennesimo ricco che sostiene che farà gli interessi dei poveri. Sfortunatamente sceglieranno il più moderato degli ultimi 40 anni. Quello che si guarderà bene dall’intaccare l’equilibrio di poteri in cui è immerso fino al collo.

Sceglieranno la via di mezzo, una media fra il meglio e il peggio. Si perché la democrazia media, e la mediazione serve ad evitare il rischio di un’orrenda dittatura, ma allo stesso tempo preclude un periodo di prospera evoluzione socio-culturale. La democrazia ammorbidisce i picchi, per usare una terminologia matematica è la derivata dello sviluppo di una civiltà.

Detesto dovermi accontentare della soluzione media quando ho la soluzione migliore a portata di mano. In italia questo meccanismo si è palesato numerose volte, recentemente nell’approvazione della legge sulle unioni civili il cui carattere progressista è stato annacquato dalla mediazione dell’ala retrograda del governo. Così come successe negli stati uniti con l’Obama Care che avrebbe dovuto mettere fine all’aberrazione di civiltà che è il loro sistema sanitario, ma che invece è arrivata all’approvazione mantenendo quasi intatto il potere delle corporations delle assicurazioni sanitarie.

La democrazia sceglie la media. Una lenta e frustrante media da cui, non a caso, deriva la parola mediocre.

 

Ma perché non siamo in grado di riconoscere il meglio? Siamo come dei bambini che non riconoscono i pericoli perché non li hanno mai sperimentati. Con la differenza che il bambino ha una naturale predisposizione ad imparare dagli errori che gli causano dolore e sofferenza. Infatti una volta commesso l’errore, quel comportamento sbagliato viene archiviato nel suo bagaglio esperienziale per proteggerlo dal commetterlo un’altra volta. Cioè una volta toccato il fornello incandescente, il dolore rimane impresso nella memoria per sempre.

Una collettività di esseri umani questo invece non lo fa, continua a sbagliare. Continua a ripetere gli stessi errori (nel caso della politica l’errore è quello di farsi rappresentare da qualcuno che non farà il nostro interesse) perché il meccanismo di archiviazione delle esperienze non funziona come dovrebbe. Quando si passa da un singolo individuo alla collettività degli uomini il meccanismo dell’esperienza si traduce nel tramandare la propria storia, conoscerla e comprenderla. Cioè avere coscienza di cosa l’uomo ha fatto nel passato e quali sono state le conseguenze buone o cattive delle sue azioni.

Nella collettività però il meccanismo della memoria esperienziale non è affatto efficace. L’esperienza muore con gli individui e non viene tramandata con sufficiente efficacia ai nuovi individui che devono ripartire da zero. Siamo in pratica come un bambino che continua a mettere la mano sul fornello acceso appena la bruciatura è guarita. O come Bart Simpson in una famosa puntata della serie dove la sorella cercava di capire se fosse più intelligente un criceto o il fratello.

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