Ho ascoltato il discorso di Greta Thumberg al parlamento europeo. Serafica, composta e lucida al punto da farmi dubitare che faccia parte della stessa specie di Alessandra Mussolini.
Il discorso è stato potente, una ragazza di 16 anni che non usa mezzi termini, dice: voglio che andiate in Panico, in 10 anni il nostro pianeta ci costringerà a cambiare radicalmente la nostra civiltà, pena l’estinzione della razza umana e voi fate 3 meeting straordinari per la Brexit e nessuno per il cambiamento climatico.
Parole senza veli che non celano il messaggio, te lo lanciano addosso sotto forma di pietre taglienti. Parole che trafiggerebbero chiunque, ma non la classe politica di questi anni, corazzata dell’indifferenza più resistente.
Ho provato sensazioni indecifrabili nel vedere le reverenze di donne in tailleur e uomini con barbe bianche ad una ragazzina di un metro e quaranta con una camicia anonima e le treccine da campagnola. Il suo sguardo neutro nascondeva probabilmente la stessa sorpresa nel vedersi così al centro dell’attenzione nella stanza dei bottoni d’Europa.
Reverenze non vane però, perché le parole pronunciate da Greta, quelle persone ben vestite non le avrebbero mai pronunciate. In politica oggi non puoi sbilanciarti per non rischiare di disattendere le aspettative dei tuoi elettori, perciò nella nostra democrazia prevalgono parole e azioni moderate che, bene che vada, portano a cambiamenti lenti, annacquati e certamente mai sufficienti o tempestivi. L’azione politica è sempre più rallentata dalla paura di perdere la poltrona, dai compromessi fra gli schieramenti intrinseci della democrazia, dai gruppi di interesse che tirano ognuno dalla propria parte e che la politica non è in grado di tenere a bada, e oggi anche da forze oscurantiste e retrograde che vorrebbero annientare dei passi in avanti acquisiti negli scorsi decenni.
Greta ha fatto il punto proprio sulla questione tempo. Non c’è più tempo, la civiltà consumistica e incurante sta continuando a spostare i contrappesi con cui la natura mantiene in equilibrio la vita sul pianeta mentre la scienza ci mostra il punto di non ritorno avvicinarsi inesorabilmente.
La politica che rallenta è in controtendenza con il progresso che invece aumenta la sua velocità. Tecnologia e scienza portano cambiamenti non solo al nostro modo di accendere le luci di casa che dall’interruttore manuale passa al comando vocale, ma sempre di più ci metterà di fronte a cambiamenti radicali al modo di interagire fra di noi, al modo di spostarci, di lavorare o addirittura al nostro modo di intendere la vita. Già nel giro di due o tre anni cominceremo a dibattere sulla clonazione umana (già tentata e riuscita in cina tramite il metodo CRISPR), sulle opportunità, ma anche sulle implicazioni etiche che ne conseguono. Cominceremo a discutere sulle milioni di persone il cui lavoro verrà sottratto dall’automazione e dall’intelligenza artificiale che non saranno più in grado di riposizionarsi su un mercato che corre troppo per loro. Dovremo affrontare discussioni su fino a quale percentuale di parti umane potranno essere sostituite perché si possa ancora parlare di essere umano. Cominceremo a dibattere sui diritti dei robot e ci interrogheremo se quei comportamenti artificiali nelle macchine possano essere considerati una forma di coscienza oppure no.
La politica che verrà da qui a 10 anni dovrà affrontare queste questioni, comprenderle e regolarle, perché in pochissimi anni saranno già mutate nuovamente e si dovrà ricominciare a ragionare da capo.
Ma se la politica rallenta e il progresso accelera, come faremo a gestire tutto quello che sarà?
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