Uno scambio serrato di argomentazioni, appassionato, incalzante, perentorio; un match avvincente fra idee e visioni del mondo che cercano di imporsi le une sulle altre sfruttando l’arte sopraffina della dialettica. Un reciproco persuadersi che la propria teoria porterà un beneficio maggiore al Paese, una contesa tra luminari su quale possa essere il modo più ingegnoso ed efficace di guarire il malato. Poi mi sveglio, sognavo ad occhi aperti.

C’erano Telese e Parenzo in TV, un giornalista di Libero e il buon Marco Da Milano che scambiavano opinioni su quello che ha detto Di Maio e quello che ha fatto Salvini.
Ma c’era anche Luciano Canfora ieri in TV, uno storico, filologo, un profondo conoscitore dei mondi classici greci e romani, uno studioso della politica tradotto in tutto il mondo e un profondo conoscitore della storia del nostro Paese. Con i suoi capelli disordinati e la sua camicia sciatta appare come lo stereotipo dell’intellettuale che fonda la sua vita sul contenuto e non sulla forma. Sentirlo parlare era un piacere per la capacità di analisi e l’eloquio efficace con cui costruiva sfumature profonde per esprimere idee articolate e metafore sagaci.

I due conduttori chiedevano a Canfora un parere sulla politica italiana di questi giorni. Uno dei pochi veri intellettuali italiani viventi, ieri, era chiamato all’analisi di un palcoscenico disarmante con attori imbarazzanti.
Movimenti di ragazzetti arroganti che si credono rivoluzionari, ma che rinnegano quattro stelle e mezza su cinque nel giro di un anno, sbugiardando senza esitazione tutti i pilastri della propria, già debole, idea di politica, conformando la loro credibilità a quella dei loro osteggiati predecessori.
Un aizzatore di popolo contro i più deboli, che con perfetta sincronia di tempi, a cento anni tondi di distanza, ripropone il ventennio chiedendo pieni poteri.
Un viscido demagogo che costruisce la propria popolarità comprando la folla con lanci di 80 denari sugli spalti del colosseo prima della battaglia dei gladiatori.
Una aspirante generalessa che rimbalza notizie inventate sui social con la speranza di raccattare gli ultimi rivoli di odio verso gli ultimi sfuggiti agli altri.
Un partito di sinistra che è una scatola vuota di persone e valori, il cui consenso è il risultato della disperazione di chi le ha provate tutte, ma vuole ostinatamente partecipare alla vita democratica. Un partito che mi ricorda un piccolo nerd adolescente, lo stereotipo dello sfigatello con poco sex appeal e poca intelligenza sociale che, innamorato della più smaliziata della scuola, aspetta fino alla fine della festa che tutti siano andati via per poterle offrire un passaggio a casa sperando alla fine di sfiorarle la guancia.
Un vecchio imperatore disgustoso, talmente innamorato del potere, da volerlo trascinare con lui dentro il sarcofago.

Questi attori sono lì non per successione dinastica o per volere divino, ma per scelta del popolo, perché in democrazia funziona così. Questi attori sono la proiezione di un popolo profondamente immaturo, che li ha scelti per tifare ciecamente per loro come un senese tifa per la propria contrada; per poter chiedere loro la luna e per poterli bruciare in piazza quando la luna non gli viene data.
L’italia ha creato in passato, e continua a creare intelligenze di levatura mondiale che però non vengono riconosciute, ma sono relegate al ruolo di osservatori o commentatori, quando non addirittura osteggiate e dileggiate come succede oggi a personaggi come Roberto Saviano.
Uno storico come Canfora lo sa bene, il popolo non sa scegliere, non ha mai saputo farlo; fra il conformismo e Socrate sceglie il conformismo, fra Gesù e Barabba sceglie Barabba.