Un martello ci permette di piantare un chiodo, una bicicletta di percorrere lunghi tratti consumando meno energia biologica e un computer di fare calcoli a velocità impossibili. Finora la tecnologia è stata un prolungamento delle capacità dell’uomo. Ma è solo questo quello che le macchine possono fare per noi? Saranno per sempre soltanto un prolungamento delle nostre capacità fisico/computazionali o potranno anche darci una mano su cose di cui abbiamo sempre vantato l’esclusiva come etica e morale?
Su come sarà il futuro, sono due le previsioni più quotate. Quella ottimistica e quella pessimistica. La prima sostiene che la tecnologia ci consegnerà il potere degli dei rendendoci immortali e regalandoci una vita senza lavoro, mentre la seconda immagina una presa di potere delle macchine che, essendo molto più intelligenti di noi, ci soggiogheranno o ci stermineranno perché oggettivamente inutili o addirittura dannosi per il pianeta.
Ma c’è una terza possibilità, quella dell’integrazione in cui le macchine potrebbero colmare alcune insopportabili lacune dell’uomo.
Nei decenni passati, sono moltissimi gli esempi di lavoratori sostituiti dalle macchine in virtù di un miglioramento di sicurezza, precisione, efficienza e produttività. Pensiamo alle catene di montaggio delle grosse industrie manifatturiere che hanno gradualmente sostituito gli imprecisi e inefficienti esseri umani con infallibili e infaticabili bracci meccanici.
Per quanto cinica e impietosa, questa è la strada su cui abbiamo sempre camminato in tutte le fasi del nostro progresso come specie. Però il risultato di questo processo spietato è che oggi possiamo acquistare beni e servizi ad una frazione del prezzo rispetto a quando l’uomo, lento, impreciso e soggetto a stanchezza ed errori, manteneva il costo della produzione più elevato. Quasi tutto il benessere di cui oggi possiamo godere in larga scala, è il risultato di un progressivo efficientamento delle produzioni di cui dobbiamo ringraziare alle macchine.
Ma non mi riferisco ad una mera espansione del potere d’acquisto che ci permette di comprare un oceano di oggetti inutili a costi irrisori, questo è solo un effetto collaterale del progresso, per di più dannoso per il pianeta. Mi riferisco all’ampliamento delle possibilità che il progresso oggi ci fornisce rispetto al passato. Agi quotidiani che diamo per scontati come l’aria condizionata, i viaggi low cost o le tecnologie mediche, che oggi sono a buon mercato e affrontabili economicamente da una fascia molto più ampia della popolazione, 50 anni fa erano lussi esclusivi dell’alta borghesia.
Domani è prevista la prossima rivoluzione tecnologica. Le self-driving cars sono ad uno o due anni di distanza. Il vantaggio più sbandierato di avere solo autisti algoritmici sulle nostre strade, sarà quello di un azzeramento quasi totale degli incidenti stradali che sono causati, per oltre il 90%, da errori o intemperanze umane. L’essere umano si distrae, non rispetta il codice o guida in condizioni alterate e questo non può che causare danni a se stesso e al resto della società.
La sostituzione degli esseri umani con le macchine alla guida delle automobili è un’evidente evoluzione in termini di vite umane risparmiate, ma anche in termini economici e di efficienza dell’intera rete di trasporti.
Ma se ci spingiamo più in là di domani cosa vediamo? Possiamo scorgere all’orizzonte un altro caso in cui le macchine potrebbero rendere più efficienti e puliti alcuni processi in cui l’essere umano è da sempre un impiastro.
Cos’è che oggi rende inefficiente, alla soglia del disastro, la politica? I personalismi. Chi occupa posti di potere politico è quasi sempre indaffarato a fare i propri interessi invece che quelli del popolo a cui dovrebbero essere diretti i benefici del proprio operato.
Facciamo delle ipotesi semi fantasiose su come cambierebbe la politica se a prendere delle decisioni per lo sviluppo di una nazione fossero degli algoritmi a cui è stato assegnato come obiettivo primario il bene delle persone.
E’ chiaro che l’espressione “il bene delle persone” è aperta a decine di interpretazioni, ma oggi possiamo dire di avere convergenze di idee che delineano cosa sia per l’uomo “il bene e la prosperità”. C’è un certo grado di unanimità nel mondo occidentale (ma non solo), su istituzioni come la Carta dei diritti universali dell’uomo o la Nato o su quali siano i principali problemi da affrontare per migliorare la condizione umana, come la povertà, le disuguaglianze, i diritti delle minoranze, etc.
La nostra civiltà è già in grado di convenire sui principi, i problemi arrivano nella messa in atto di tali principi, cioè quando si affida agli uomini il compito di costruire le infrastrutture sociali su cui appoggiare tali principi. Con le stesse imprecisioni dell’operaio della catena di montaggio, anche l’uomo politico quando è incaricato di costruire le leggi, è lento, distratto e soprattutto influenzabile da mille fattori, che ne deviano l’attenzione dall’obiettivo principale, il bene delle persone.
Perciò, secondo lo stesso meccanismo con cui siamo in grado di convergere su alcuni principi, saremo anche in grado, con un certo grado di unanimità, di regolare l’algoritmo Agente Politico, sull’obiettivo “il bene delle persone”. Semplificando molto possiamo dire che una vita agiata per la maggior parte delle persone possa essere quella che garantisce una stabilità economica, una famiglia, un certo grado di sicurezza, la soddisfazione di piccole o grandi ambizioni personali e del tempo libero per hobbies o semplicemente per oziare.
Come un uomo politico in carne ed ossa, anche un Agente Politico (AP), dovrebbe prendere delle decisioni su questioni complesse analizzando una moltitudine di fattori.
Innanzitutto dovrebbe spesso massimizzare delle funzioni economiche, cioè sistemare i parametri di un provvedimento di legge in modo da ottenere più denaro possibile (ad esempio come gettito fiscale), oppure nel caso contrario, acquistare delle infrastrutture minimizzando la spesa.
Questa classe di operazioni è relativamente agevole per una macchina, anzi possiamo dire che, nel mero calcolo matematico, non possiamo neanche proporci come rivali contro una macchina.
Ma i parametri da tenere in considerazione quando si struttura un provvedimento non sono esclusivamente di natura matematica. Quando si decide di costruire una nuova autostrada, si fanno certamente i calcoli di spesa, ma si verifica anche che i piloni non passino sulle proprietà private di persone che perderebbero la loro abitazione, si verifica che non ci siano degli esercizi commerciali che perderebbero la loro clientela dismettendo la vecchia arteria, oppure ci si assicura di acquistare i materiali da imprese locali in modo da rivitalizzare le economie del luogo e tamponare gli eventuali scossoni che la nuova opera inevitabilmente porterebbe.
Insomma i parametri da considerare non sono soltanto delle equazioni matematiche, ma sono spesso valutazioni di natura sociale.
Su questa classe di valutazioni le macchine, per il momento, non hanno molto da dire perché i risvolti sociali in gioco sono più complessi di quanto qualunque intelligenza artificiale possa riuscire a comprendere ed elaborare.
Ma non sarà così per sempre. La complessità delle strutture neurali artificiali aumenta e si stratifica a vista d’occhio nei centri ricerca di tutto il mondo, è solo una questione di tempo prima che un’intelligenza artificiale sia in grado di comprendere e gestire lo sviluppo sociale di un territorio e le sue dinamiche complesse.
I vantaggi di un Agente Politico Artificiale sarebbero innumerevoli. Un AP non sarebbe soggetto alle stesse spinte egoistiche di arricchimento, in termini di denaro o potere, a cui è soggetto un essere umano. Già solo questo fattore, a parità di skills, farebbe una differenza dal giorno alla notte sulla qualità dell’amministrazione della cosa pubblica.
Per questo motivo l’AP non sarebbe neanche corruttibile, ammettendo di mantenerlo al sicuro dalle cyber-intrusioni, ma già oggi esistono livelli di sicurezza innestati per che rendono questo, un problema relativamente preoccupante.
Un altro grande vantaggio del nostro AP è che avrebbe la possibilità di analizzare montagne di dati su questioni di qualunque natura, mantenendo una visione lucida su un vastissimo panorama di diramazioni delle sue azioni, fatto di infinite variabili. Non ci sarebbe argomento su cui non sarebbe un luminare (come ha già dimostrato qualche anno fa il sistema Watson di IBM) e su cui non sarebbe perfettamente aggiornato sullo stato dell’arte della disciplina su cui dovrebbe legiferare, qualunque essa sia. Tutti gli studiosi, in ogni ramo dello scibile umano creerebbero una sorgente di informazioni costantemente aggiornata sulla loro disciplina, come una sorta di Wiki, a cui l’AP potrebbe attingere istantaneamente ogni volta che avrebbe bisogno di informazioni.
Se eleggessimo un Agente Politico come presidente avremo 2 ulteriori grossi vantaggi dovuti al fatto che il confronto parlamentare diventerebbe improvvisamente inutile.
Non c’è niente di cui spaventarsi, il sistema di contrappesi democratico nasce per bilanciare la naturale tendenza dell’uomo a prevaricare sugli altri uomini per interessi personali. Gli interessi personali in un’agente non umano vengono a mancare, perciò non avrebbe senso neanche il sistema dei contrappesi.
Infatti se assumiamo che una tale entità, per definizione, non può essere soggetta a personalismi o a influenze di parte, allora possiamo anche fare a meno dei contrappesi di altre forze politiche che rappresentino altri interessi.
L’agente sarà disegnato originariamente per analizzare in maniera imparziale i pesi e gli interessi di tutte la parti in causa e trovando la migliore soluzione di compromesso che massimizzi il vantaggio di tutte la parti, esattamente come un matematico massimizza una funzione senza parteggiare per questa o quella variabile di output. Questo quindi velocizzerebbe drasticamente i processi legislativi permettendoci di avere nuove leggi la mattina successiva al manifestarsi del problema. In una notte il nostro Presidente Artificiale avrà elaborato simulazioni con migliaia di variabili e miliardi di combinazioni economiche, sociali e diplomatiche (come già AlphaGo analizza l’oceano di combinazioni di mosse possibili sulla scacchiera dell’antico gioco cinese Go), tirando fuori il provvedimento ottimale per risolvere la situazione nel migliore dei modi possibile.
Il secondo vantaggio che deriverebbe dalla soppressione del dibattito politico è di tipo economico. La macchina politica è un elefante costosissimo, spesso molto al di sopra del necessario. In Italia il costo della politica è di oltre 20 miliardi all’anno, tutto denaro che potrebbe essere utilizzato, ad esempio, per compensare l’erosione del lavoro dovuta all’automazione con meccanismi come l’Universal Basic Income.
E’ chiaro che per arrivare ad una intelligenza artificiale in grado di tenere in considerazione non solo le fredde dinamiche economiche, ma anche le delicate questioni umane, ci vuole ancora del tempo.
Max Tegmark nel suo libro fa un esempio semplice per comprendere la difficoltà che ancora abbiamo nello scrivere delle intelligenze artificiali che possano interagire con le dinamiche umane.
Immaginate di dover scappare in aeroporto e di chiamare un taxi guidato da una intelligenza artificiale. Entrati nel taxi impetuosamente, direte al “tassista artificiale” una frase tipo: “mi porti all’aeroporto più in fretta che può”. Il tassista esaudirà alla lettera il vostro desiderio, ma all’apertura dello sportello, davanti al gate di partenza, voi sarete probabilmente con la testa nel vano delle gambe, coperti di vomito, con il caffè che cola dalla vostra faccia e il vostro laptop sarà fracassato sul ciglio di una strada perché è voltato dal finestrino.
Il tassista vi ha portato in aeroporto più in fretta che ha potuto, rispettando il codice della strada per cui è istruito, ma non rispettando le regole non scritte di comfort degli umani.
Integrare nel comportamento delle intelligenze artificiali le regole non scritte che gli esseri umani hanno è per il momento un compito arduo. Ma non è affatto impossibile.
Basta dare alla macchina, oltre alle regole per la guida, un ulteriore set di regole sugli esseri umani come ad esempio:
Un’auto oltre una certa velocità sballotta il passeggero dietro
Ad un essere umano non piace essere sballottato
Un essere umano se viene sballottato vomita
Perciò arriverà un giorno in cui avremo formalizzato in flussi di codice e framework comportamentali anche le leggi non scritte dell’uomo. Quelle leggi per cui il “più in fretta che può” è subordinato al non sballottare il passeggero seduto dietro. Quelle leggi secondo le quali anche se una mamma non ha pagato l’affitto e per legge dovrebbe essere sfrattata, gli uomini si impongono tolleranza per non causare una sofferenza evitabile ad un altro essere umano.
Gli algoritmi non hanno una coscienza, ma presto un algoritmo non cosciente comprenderà inconsciamente che si debba cercare un’altra soluzione, che lo sfratto di una mamma appena licenziata con due bambini da mantenere non è una soluzione accettabile e che la massimizzazione di questa funzione preveda un po’ di tolleranza per una situazione difficile.
Presto un algoritmo senza coscienza comprenderà inconsciamente che piantare il pilone di un’autostrada espropriando ad un vecchio signore tutto quello che gli è rimasto, non è una soluzione accettabile, ma che è necessario cercarne un’altra.
Presto succederà che vedendo arrivare un gommone con delle persone che scappano dalla guerra e dalla miseria, perfino un algoritmo istruito per perseguire “il bene delle persone”, non ordinerà di chiudere i porti, ma per prima cosa le metterà in salvo e poi cercherà una soluzione che massimizzi la variabile di output: “il bene delle persone”.
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