Aldo Nove dice che una cultura Europea non esiste. E’ vero, il norvegese medio ha vita, abitudini, obiettivi e ritmi piuttosto diversi da un siciliano, ma una cultura di comunità ormai è vitale per gli stati europei così come è importantissima per il resto del pianeta.

E’ l’unico obbiettivo a cui puntare, dallo stato di branchi isolati si esce solo con un salto culturale, con lo sviluppo della convinzione che qualunque comunità per quanto faticosa da tenere insieme è l’unico modello utile per affrontare i problemi globali che vediamo all’orizzonte.

 

Il SARS-Cov2 ci sta sbattendo in faccia quanto sia impensabile sconfiggere un problema globale ognuno per i fatti propri. Ma dopo il SARS-Cov2 verranno il riscaldamento globale, l’automazione che sconvolgerà il lavoro, le migrazioni ambientali, la proliferazione nucleare, etc.

Sono tutte spade di Damocle sulla nostra civiltà, problemi globali che possiamo superare, ma che hanno tutti una condizione necessaria in comune per essere risolti, affrontarli come comunità e non come branchi sciolti.

Quando inventi la nave inventi anche il naufragio. Noi abbiamo inventato gli aerei, e le pandemie sono diventate globali minacciando l’intera specie umana anziché una tribù confinata. Perciò così come, una volta inventata la nave, abbiamo inventato radar, sonar, GPS e scialuppe di salvataggio per risolvere il naufragio, ora che abbiamo inventato il villaggio globale dobbiamo studiare come risolvere i problemi globali.

 

Lo sviluppo del pensiero scientifico ci ha permesso di creare i computer quantici. Abbiamo preso atomi la cui natura era vagare senza ragione nell’universo, li abbiamo ordinati e disciplinati, abbiamo dato loro delle regole e abbiamo creato strumenti di una complessità magnificente, capaci di cose magnificenti. E’ necessario fare lo stesso con le persone. È necessario riuscire a superare la nostra resistenza a stare insieme da diversi. E’ necessario disciplinare la società e trovare condizioni e regole affinchè popoli e culture diverse riescano a convivere e collaborare invece che competere. Una comunità funzionante è l’unica tecnologia che ha senso sviluppare oggi. Lo sviluppo di un modello di comunità globale con legami covalenti stabili fra culture diverse è condizione imprescindibile per il proseguimento della civiltà umana.

Il disprezzo atavico fra città confinanti, che esiste più o meno tutto il mondo, è l’emblema di una grettezza di pensiero ancora predominante fra i popoli. Al contrario, la capacità di riconoscere le affinità, tollerare le differenze e costruire la collaborazione è la raffinatezza intellettuale che dobbiamo raggiungere, l’evoluzione darwiniana che ci permetterà di sopravvivere, è il salto di complessità che abbiamo già fatto molte volte nella scienza. Quello che abbiamo fatto dalla meccanica classica alla meccanica quantistica ora dobbiamo farlo nella società da una mentalità di nazioni ad una mentalità di comunità globale.

Qualunque sia la forma di collaborazione che troveremo, niente serve di più in questa epoca che costruire una collaborazione stabile tra popoli differenti, per riuscire a raggiungere l’epoca successiva. 

 

Oggi non è più come nei secoli passati dove, anche se la scelleratezza di un imperatore faceva crollare un impero, un mezzadro in Sicilia poteva dare ugualmente sostentamento alla propria famiglia continuando a coltivare il terreno. Indipendentemente se a Roma il senato fosse pieno di togati operosi o di barbari che ne razziavano i marmi, le comunità locali sparse sul territorio possedevano comunque le risorse, gli strumenti e la conoscenza, vitali per il loro sostentamento. Oggi non è così. Con il grado di interdipendenza della civiltà moderna, il singolo individuo non ha più né le risorse, né gli strumenti né la conoscenza per sopravvivere. Il livello di stratificazione della società contemporanea rende impossibile, per un individuo o per una piccola comunità, isolare la propria attività primordiale di sostentamento dal resto della società. Se la società occidentale dovesse collassare, anche per le comunità remote più lontane dai frenetici centri di sviluppo, è impensabile riuscire a ritornare velocemente ad una comunità rurale autosufficiente, indipendente da economia e tecnologia e servizi moderni.

Perciò se una delle spade di damocle globali dovesse cadere come un asteroide sull’impero tecnologico, il complesso meccanismo si incepperà e si salveranno solo roditori e piccoli mammiferi.

 

Abbiamo creato una civiltà incredibilmente complessa che ci ha portato senza dubbio immensi benefici, ma che è anche incredibilmente facile che questa locomotiva scarrelli e deragli rovinosamente. Dobbiamo puntare a migliorare la nostra tecnologia politica perché riesca a disciplinare le forze contrastanti nel sistema uomo. Abbiamo bisogno di scienziati sociali che riescano a bilanciare e rendere a somma positiva le differenze fra culture e popolazioni, come già facciamo nei laboratori di fisica con elettroni e protoni.

Quotidianamente l’uomo compie imprese intellettuali straordinarie, manipola particelle subatomiche, sviluppa modelli matematici che predicono lo spostamento delle nuvole e algoritmi di intelligenza artificiale che imparano giochi antichi e complessi in qualche minuto superando qualunque campione umano, ma non è ancora in grado a coordinarsi fra regioni di una stessa nazione per combattere un virus. I governatori degli stati degli USA più colpiti dal Covd-19, in questi giorni sono costretti a fare un’asta al rialzo per aggiudicarsi approvvigionamenti di materiale medico dal governo federale.

Vorrei che esistesse una Silicon Valley della sociologia con la stessa influenza su pianeta di quella tecnologica, dove però si studiano i comportamenti sociali della nostra epoca, dove si cerca come far convivere un norvegese e un siciliano sfruttando le forze di entrambi o dove si cercano le cause e le soluzioni per il cospirazionismo, della crescente sfiducia nella scienza e per il fascino delle fake news. Un CERN della politica, dove si sviluppano modelli democratici più efficaci che ci aiutino a scegliere politici migliori o dove si studia come rendere l’opinione pubblica più resistente a populismi e demagogie o i governi impermeabili alle infiltrazioni esterne. Una Stanford dell’educazione che svecchi il sistema educativo superando l’elefantiaca struttura burocratica, per avere presto disponibili giovani menti critiche, creative e audaci invece che automi passivi da catena di montaggio.

E’ questa la tecnologia che ci serve adesso. Vorrei che queste organizzazioni avessero l’influenza che hanno oggi i Big 4 (Google, Facebook, Amazon, Microsoft) perché l’avanzamento tecnologico è importante, ma un cambiamento socio-culturale farà la differenza fra la continuazione della specie e il collasso della civiltà.