Alla fine le nuvole sono rimaste bianche e hanno fatto da scenografia illuminandosi di fulmini sullo sfondo per rendere sontuoso un concerto già indimenticabile.

Un signore distinto, quasi anonimo, con la pettinatura da nonno, ma con la capacità di maturare ancora, di evolvere e salire un altro gradino. Elements è un album diverso in cui il pianoforte è circondato da esperimenti. Una sega da taglialegna suonata come un violino, una piastra di metallo modulata dall’acqua di una vasca e percussioni suonate a pugni chiusi. Suoni nuovi dosati con maestria come le spezie sul piatto di un grande chef che spostano questo album in un altro scaffale.

I pattern di Einaudi si riconoscono, le ripetizioni che si alzano in crescendo trascinandoti a mezz’aria con loro, ma questa volta il suono è denso, carico di frequenze “altre” che fanno vibrare tutti gli organi, non solo il cuore. Non è la semplicità angelica del suo pianoforte, talmente bella da sentirne il profumo, sono nuove melodie e nuovi ritmi con cui i giovani musicisti intorno a lui decorano la linea di piano già splendida da sola.

Alcuni pezzi creano quell’atmosfera che ti fa ritrovare con gli occhi chiusi alla fine del brano senza accorgertene, mentre altri sprizzano quell’energia che ti fa muovere la testa e urlare come ad un concerto rock. I tamburelli folk, lo xilofono, i violoncelli e le chitarre elettriche dei ragazzi creano il tappeto su cui Ludovico Einaudi cammina per tutto il concerto con la sicurezza di un vecchio artigiano nella sua bottega.

E mentre la musica ci bacia sul collo uno ad uno, un misurato boato di meraviglia accompagna fino al cielo gli occhi del pubblico che, con la bocca aperta, tenta di scorgere oltre le nuvole la fine delle suggestive colonne di luce accese all’improvviso dal semicerchio dietro il palco.

Poi la matematica, la letteratura e la scienza, gli elementi di cui Ludovico Einaudi ci vuole parlare sono proiettati alle spalle del palco, mentre spruzzi di luce bianca partono dai piedi dei musicisti in tutte le direzioni per bagnare i vestiti degli spettatori.

Una ragazza fra il pubblico prende coraggio e urla per prima: “Nuvole Bianche”. Non si fanno aspettare tutti gli altri che avevano quel titolo in canna dall’inizio del concerto. Tutto il teatro cala in un silenzio surreale quando Einaudi si gira verso le ottave del pianoforte e appoggia le mani sui tasti. Tre note per riconoscerla, poi si chiudono gli occhi e tutto il resto scompare per sei minuti.

La cornice epica del teatro dei ruderi di Cirella ha fatto il resto racchiudendo un prezioso evento in un prezioso scrigno. Lo chiudo a chiave adesso e lo conservo fra i miei ricordi migliori.