Ascoltare Ascanio Celestini parlare di una persona è come ascoltare un astronomo parlare dell’immensità dell’universo. Un’immensità talmente vasta che io non riesco a contenere neanche con l’immaginazione. Cosa vuol dire un miliardo di miliardi di stelle? La mia percezione non ci arriva.
Ascoltare Ascanio Celestini parlare di una persona “marginale” è come ascoltare un microbiologo parlare dell’universo sconfinato che lui vede dentro una goccia di sangue. Cosa vuol dire un miliardo di miliardi di cellule? La mia percezione non ci arriva.
Ascoltare Ascanio Celestini parlare di Domenica è come ascoltare un matematico che mi spiega quanta bellezza ci sia nell’equazione di Eulero. Una bellezza che si concede solo a chi ha quegli occhi per vederla. Una bellezza che io non vedo.
Ascanio Celestini viviseziona l’essere umano, lo apre e ci guarda dentro. Tira fuori tutti gli organi ad uno ad uno, li ripulisce, li scruta alla luce, li soppesa e li scuote. Osserva, prende appunti, si sporge, tocca, si sporca le mani, annusa e riosserva. Come un moderno Leonardo DaVinci, lui prende una persona, una di quelle persone che la nostra contemporaneità considera insignificante, e la osserva con una profondità che neanche la madre, il migliore amico o essa stessa potrebbe avere.
Ascanio Celestini porta fuori l’immensità che sta dentro una persona. Dentro ogni persona. Ci dice che dentro quei corpi che incrociamo durante le nostre giornate c’è una galassia intera di situazioni e sensazioni, traumi ed emozioni, gioie, depressioni e altre persone che a loro volta sono altre galassie.
Ascanio Celestini ha gli occhi per vedere un universo di bellezza nel parcheggiatore Moldavo, nella senzatetto che chiede l’elemosina al supermercato o nel ragazzo pachistano con le rose in mano.
Io sono cresciuto in una società che ti dice che questa bellezza non ti serve. Infatti le altre persone mi appaiono non solo come corpi vuoti dotati di movimento, ma spesso perfino come intralci alle mie necessità. “Spostati con quella macchina, devo passare”, “Vai via, non mi servono le rose”, “Si sbrighi, mi serve il certificato”, “C’ero prima io”.
Vorrei degli occhi nuovi, puliti, vorrei gli occhi di Ascanio Celestini.