Lo stridio dei freni e gli urletti acuti delle donne si mischiano in un solo suono. Mitja si sbilanciò in avanti, un tutt’uno con gli altri passeggeri. La maniglia a laccio gli stringe il polso e lui la stringe per rimanere in piedi e poi tirarsi su. Con la coda dell’occhio legge il profetico cartello: “sorreggersi agli appositi sostegni”.
Il tizio con la cravatta arriverà in ufficio con una bella macchia di crema sulla camicia e pezzi di cornetto nel taschino, “così impari a svegliarti prima la mattina e fare colazione al bar, non sull’autobus” pensò.
Quella 15enne per poco non si faceva schiacciare dall’autobus perchè attraversava la strada leggendo il diario.
“Fa bene l’autista a urlarti contro. Si, ma adesso risiediti su quella poltrona riaccendi il bus e ripartiamo”.
Qualcuno gli lasciò il braccio. Si voltò di scatto, era la signora col cappello rosso che era con lui alla fermata. Nel trambusto non aveva fatto caso che gli avesse afferrato il braccio, si accorse che lo stesse stringendo solo quando allentò la presa, come quando ci si accorge del sottofondo del condizionatore solo quando si spegne.
Ricambiò il suo sguardo di scuse e infilò di nuovo la mano sotto il cappotto.
Non è successo niente, l’autista rientra incazzato ed impaurito per quello che stava per succedere, i freni sbuffano, il pesaggio fuori ricomincia a muoversi.
Mitja segue con la testa la ragazza appoggiata ad un’auto che piange con la testa bassa e l’amica le sposta i capelli dal viso.
“Fatti consolare brutta deficiente, c’è mancato poco” pensò
“C’è mancato poco che la signora col cappello rosso si accorgesse della spada sotto il cappotto”.
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Disteso sulla terra umida cominciava a sentire l’acqua nelle ossa. Aveva freddo, ma lo sopportava, era quello il posto con la visuale migliore da cui riusciva a vedere chiaramente il giardino, la sala da pranzo, la camera da letto e perfino il bagno quando Dimitri lasciava la finestra aperta. Avrebbe addirittura potuto lasciar perdere gli altri punti di osservazione, era abbastanza lontano da non essere individuato e con questo nuovo binocolo riusciva a vedere fin dentro i cassetti.
Dimitri entrò in casa, il cane gli fece qualche festa e il figlio Edgar lo salutò alzando il braccio e dicendo qualcosa tipo “ciao pà”, ma senza staccare gli occhi dallo schermo della TV a tubo catodico.
Mitja guarda l’orologio, è l’una e trenta in punto quando Dimitri bacia Emma che sta poggiando i tre piatti del pranzo in tavola e si siede a mangiare.
“Timing perfetto, una famiglia sincronizzata, questo rende tutto più facile”, pensò Mitja.
Dopo pranzo Emma si mise a correggere i compiti dei suoi studenti seduta sul tavolo della cucina, Dimitri leggeva una rivista scientifica e Edgar giocava col cane.
Fracasso. L’auto di Tommy Bartels si ferma bruscamente sul viale, lui scende e guarda verso la casa di Dimitri con aria finto mortificata. Si avvicina e con lo sguardo cerca qualcuno attraverso le finestre o qualcuno che esca dalla porta. Non uscendo nessuno, si avvicina alla cassetta della lettere di Dimitri che ha appena abbattuto con l’auto uscendo dal garage, e la rimette in piedi alla buona. Cancella con il piede i segni degli pneumatici e ritorna in fretta alla sua auto.
I coniugi assistono alla scena attraverso le tendine sottili della finestra della cucina. Tommy si rimette in macchina e riparte. Emma guarda Dimitri incredula e non parla. Dimitri è fermo, impalato difronte a lei e non si è mosso. Emma apre le braccia e tira su le spalle continuando a guardare Dimitri fisso e con lo sguardo colmo di stupore e disappunto. Cominciano a litigare.
“Cagasotto!” sussurrò Mitja senza staccare le orbite dagli oculari del binocolo.
“Perché non sei andato a spaccargli la faccia?!”
Quando la quella scimitarra bianca, con una palla di fuoco all’estremità, si stagliò nel cielo da una parte all’altra dell’orizzonte, tutti pensarono che fosse un avvertimento di Dio per il ritorno dei turchi a tre anni dalla loro ultima conquista. Il Papa della cristianità pensò che le nostre terre fossero in pericolo, perciò ordinò un’altra crociata. Mitja partì.
Ad Antiochia tutti i suoi compagni erano stati massacrati in un’imboscata all’ultimo villaggio. Mitja riuscì a nascondersi sotto il ponte di pietra che tagliava in due quel villaggio. I turchi la sera banchettarono per la vittoria e i corpi dei suoi cavalieri erano stati impalati in circolo intorno al fuoco. Persino quel ragazzino con l’armatura più grande di lui rideva e infieriva insieme agli altri sui cadaveri.
“Un cavaliere di alto rango deve avere il coraggio di vendicare i propri compagni” pensò. Così decise di aspettare tutta la notte nel fango bagnato del fiumiciattolo. Alle prime luci dell’alba approfittò che i soldati fossero ancora addormentati per uscire dal nascondiglio. Fece il giro del casale, si sporse dal muro e guardò di nuovo quell’orrenda staccionata di corpi mutilati su un terreno rosso umido. I turchi erano addormentati e soddisfatti e sparsi a terra intorno al fuoco. Erano otto. Ne avrebbe ucciso solo uno, altrimenti sarebbe morto.
Si avvicinò col passo del gatto, raggiunse i primi due turchi ronfanti sdraiati per terra a pancia in giù. Si fermò, li guardò entrambi e scelse quello di destra. Alzò la spada per trafiggerlo e vide che era il ragazzino. Sferrò ugualmente il colpo.
L’urlo strozzato di una voce non ancora da uomo svegliò il resto dei soldati turchi. Quello accanto a lui lo afferrò per un piede. Con la spada gli mozzò il braccio e scappò. La mano olivastra per qualche metro rimase avvinghiata alla sua caviglia.
Corse. Qualcosa lo sorpassò fra l’orecchio destro e la spalla. Riuscì a girare l’angolo della casa, presi uno dei loro cavalli e mi inoltrai nel bosco. Ascoltare la voce di una freccia turca da così vicino mi fece raggelare il sangue, ma non subito, solo quando ci ripensai, una volta in salvo.
“Io ne ho affrontati otto e lui non riesce ad affrontarne uno solo”
La signora col cappello rosso guardò Mitja con un occhio da sotto le falde larghe del suo copricapo mentre scendeva dall’autobus. Accennò un sorriso attraverso il finestrino mentre l’autobus ripartiva. Di fronte la fermata c’è Donovan Burger. Il ragazzo dietro il bancone con un orrendo giubbotto da paninaro gli chiese: “Sempre il menu 5?”. Lo prese, pagò e si avviò verso il sentiero del parco che lo portava sulla collina.
Il parco è grande, per raggiungere il buco nella recinzione che lo avrebbe portato al suo punto di osservazione, doveva attraversarlo quasi tutto. Camminava da solo accompagnato dal suono autunnale dei suoi passi. Con la mano sotto il cappotto impugnò il Tanto, con il pollice fece scorrere due centimetri di lama fuori dalla fodera per toccarne il metallo.
Da dietro una siepe spuntò d’un tratto un ragazzino con una maglietta rossa, che correva scompostamente guardandosi alle spalle e ridendo. Non fece in tempo a schivarlo, lo travolse ed entrambi caddero per terra. Subito dietro un altro ragazzino, spuntò anche lui correndo da dietro la stessa siepe, ma lui li vide e riuscì a fermarsi. Il ragazzo con la maglietta rossa si rialza in un secondo e senza neanche spolverarsi i pantaloni si avvicina mortificato a lui per scusarsi ed aiutarlo ad alzarsi. Gli allunga una mano, ma quando Mitja fece per accettarla, la ritrasse di colpo, cambia espressione e fece un passo indietro. Lui richiuse il cappotto aperto e si rialzò.
“Signore, ma lei è un samurai?” chiese il bambino con la maglietta rossa.
I due secondi successivi li impiegò a capire che non aveva abbastanza immaginazione per inventare una storia tanto credibile da non insospettire i due bambini e quindi i loro genitori. Perciò sorrise.
Mitja – No, sono un viaggiatore del tempo e questa spada l’ho fatta forgiare nel 1682 da un maestro d’armi giapponese
I due ragazzini rimasero imbambolati con gli occhi sgranati. Si guardarono fra di loro e poi riguardarono Mitja. Il ragazzo con la maglietta rossa aprì la bocca per chiedere qualcosa, ma la richiude perché non riuscì a dire niente.
Mitja – Io sto andando di qua, se mi accompagnate vi racconto la mia storia
Si guardarono fra loro un’altra volta, allargarono un sorriso gigantesco e poi di nuovo verso di me annuendo energicamente.
Mitja – Tanto per cominciare dovete sapere che il tempo non è infinito, ma è chiuso come un cerchio, ad un certo punto finisce e ritorna all’inizio
Ragazzo – e quando finisce il tempo?
Mitja – il 21 ottobre del 2362, il giorno in cui la cometa di Halley colpirà la terra
I due ragazzi erano allo stesso tempo meravigliati e spaventati. Uno dei due, senza accorgersene, aggrottava la fronte e apriva leggermente la bocca come a pronunciare un lunghissimo “ooo” di meraviglia, ma la sua bocca rimaneva in quella posizione senza emettere nessun suono.
Mitja – Ma state tranquilli, nessuno si farà male, nel 2362 non ci sarà anima viva sulla terra, l’umanità e tutti gli esseri viventi si saranno già estinti da almeno 150 anni. Per colpa dell’uomo chiaramente.
Ad ogni dettaglio che aggiungeva, la bocca dei due ragazzi si spalancava di un pò.
Camminavano nel parco e Mitja raccontava loro una storia talmente irreale, da affascinare due bambini di 10 anni e da far ridere di compassione i loro genitori.
Quando la realtà è così stupefacente , non serve inventare niente, basta raccontare la verità.
Ragazzo – E tu come le sai tutte queste cose? chiese l’altro ragazzino
Mitja – Io posso fare salti nel tempo. 75 anni, ogni volta che la cometa di Halley passa vicino la terra.
Ragazzo – Ah si, l’ho vista in TV la settimana scorsa cometa di alle.
Ragazzo – Perché salti nel tempo?
Mitja – Tu non lo faresti se potessi?
Ragazzo – Certo! Io andrei nel 2000 per guidare una macchina volante!
Mitja rise di gusto
Ragazzo – Come fai ad andare avanti e indietro nel tempo?
Mitja – Posso andare solo avanti e solo quando la cometa di Halley passa vicino alla terra. Lo faccio grazie ad un procedimento segreto che ho scoperto nel mio laboratorio di fisica dell’università. Disse Mitja sottovoce con tono da cantastorie.
Ragazzo – Perché sei qui adesso?
Mitja – Perché sono un eroe coraggioso e voglio impedire che esploda una centrale nucleare in Ucraina.
Non se la sentì di dire a quei bambini che era lì per uccidere un uomo. Lo sguardo di meraviglia che aveva suscitato in loro era una delle poche cose belle che gli era capitato ultimamente.
Aveva fatto tutto il round-up del tempo per tornare nel 1986, l’anno in cui qualche raggio cosmico riuscì ad oltrepassare la barriera di gas della coda della cometa entrando nel cono d’ombra che questa generava. I raggi filtrati causarono l’anomalia nel procedimento che generò lo sdoppiamento. Il laboratorio era stato quasi raso al suolo e per poco la stessa fine sarebbe toccata all’intero universo a causa del contatto della stessa materia nello stesso spazio-tempo.
Si videro per un instante nella confusione di quei pochi secondi, si guardarono negli occhi, entrambi sapevano che non si sarebbe potuta mantenere quella situazione, che quell’anomalia andava sistemata, ad ogni costo!
Distrasse i bambini con una registrazione olografica della metà del XXI secolo e se ne andò. Il gioco era finito, doveva tornare alla sua postazione. Dopo due settimane di osservazione, abitudini e comportamenti erano ormai codificati, doveva passare allo step successivo.
Fra le 9 e le 12 di mattina Dimitri, Emma ed Edgar sono tutti fuori casa. La porta sul retro è quasi sempre aperta. Il computer si trova nello studio, quando Dimitri entra in casa con dei floppy disk, li porta sempre in quella stanza. Mitja aveva comprato una confezione da 100 dischi da 360kb, abbastanza da copiare l’intero hard disk, e un manuale MS-DOS per ripassare quelle istruzioni primitive. Non esistendo Internet, la sicurezza informatica era solo roba da militari, perciò Mita pensò che il computer non sarebbe stato protetto da nessuna password.
Attese sulla collina una trentina di minuti dopo che tutti fossero usciti, poi si avviò verso la casa cercando di non dare nell’occhio.
Entrò senza problemi dalla porta del giardino sul retro, trovò il computer nello studio, un case tower da pavimento grosso come una scarpiera. Sugli scaffali tutto intorno, grosse stampanti ad aghi, oscilloscopi e altri dispositivi scientifici di ogni forma e dimensione. Sulla scrivania altri piccoli congegni elettronici pieni di lucine, tutti con grossi cavi che arrivavano dietro il case sul pavimento. Mitja accende il computer, ma trova subito una pessima sorpresa. Poche righe dopo il conteggio della memoria, il cursore bianco si ferma lampeggiante accanto alla scritta “Enter Password”.
Cazzo! esclama a denti stretti.
Si guarda intorno per trovare un post-it con la password appuntata o un qualunque indizio per ricavarla con un pò di immedesimazione. Il suo occhio cade su uno dei dispositivi sulla scrivania. Era un blocco di plastica beige con due grossi led, uno verde e uno rosso, con una piastrina al centro. Sopra c’era scritto Secure-Fingerprint.
Sorrise.
Accese il dispositivo con l’interruttore laterale e sul monitor il cursore si spostò sulla riga successiva accanto alla scritta: “Appoggiare il pollice sulla piastra”.
La sensazione di freddo sul pollice fu accompagnata da un beep acuto, dalla luce verde e dal computer che riprese a caricare il sistema operativo salutandolo con “Bentornato Dimitri”.
Appena tornato dal lavoro, mentre bacia la moglie, Dimitri vede attraverso la finestra della cucina Steve Bartels, il fratello minore di Tommy, tornare con la bicicletta da scuola.
Esce di casa, si avventa su di lui e lo ferma. Assunse una postura di ammonizione inclinata in avanti con il capo in basso rivolto verso il ragazzino impaurito. Un braccio sul fianco e l’atro ad indicare all’indietro la sua cassetta della posta malconcia e penzolante. Gli animi si accendono, Dimitri afferra la bicicletta de piccolo Steve e la scaraventa per terra. Il ragazzino prende la sua bici e corre verso casa. Dimitri lo segue con lo sguardo continuando a gesticolargli dietro.
“Ma che fai, te la prendi col ragazzino adesso? Brutto codardo!” disse Mitja assistendo indignato alla scena attraverso il binocolo
“Ma che ti è successo? Io non sono mai stato così codardo”
Mercoledì. Alle 17.15 finisce il telefilm, alle 17.25 è pronto per l’allenamento in palestra, alle 17.35 esce con la macchina dal garage. Io entrerò nel garage dalla porta di legno bianca sulla destra quando Tommy Bartels sarà già uscito. Sarò dietro la tenda degli attrezzi con le 4 magnet cuffs che gli bloccheranno mani e piedi alla porta metallica del garage.
Non appena Dimitri girò dietro l’auto passando a pochi centimetri dalla serranda metallica del garage, Mitja uscì da dietro la tenda e lanciò contemporaneamente le 4 manette magnetiche. E’ un attimo e Dimitri si trova immobilizzato sulla serranda del garage, crocifisso con le 4 estemità bloccate da quelle manette futuristiche.
– Carini questi cosi – disse Dimitri immobilizzato e con una inaspettata calma
– Pensavo ormai non saresti più venuto
– Sai benissimo che non possiamo rischiare.
– Perciò adesso stai fermo e non fare scherzi.
– Non puoi uccidermi, sarebbe come uccidere te stesso, il paradosso avverrebbe lo stesso.
– Ti ucciderò con il Tanto, sarà come se stessi compiendo il nobile Harakiri uccidendo me stesso.
– Ti prego non farlo
– Stai zitto! Mettere su famiglia ti ha fatto diventare un cagasotto.
– Io cagasotto?!
– Si, tu! Te la sei appena presa con un ragazzino di 12 anni invece che spaccare la faccia a quel troglodita che ti ha rotto la cassetta delle lettere.
– Tu gli hai fatto passare una spada attraverso il petto, ad un ragazzino di 12 anni, te lo ricordi?
– Dovevo vendicare la morte dei miei cavalieri!!! – Urlò Mitja innervosito
– Dovevi uccidere i turchi, ma hai ucciso solo il più debole.
– Ho detto stai zitto! Io non sono come te. Hai capito?! Non sono come te!
Emma parcheggia l’auto davanti alla saracinesca del garage dipinta di bianco. Apre il cofano della macchina, tira fuori una busta del supermercato e mette a tracollo la borsa. Avviandosi verso la porta di casa nota una sottile striscia scura che parte dal centro geometrico della saracinesca e arriva fino a terra. Incuriosita si avvicina. Una punta affilata esce per 5 centimetri dal metallo della porta del garage e la striscia scura che partiva dal buco era di un rosso scuro.
Emma lasciò cadere sul cemento quello che aveva in mano e corse verso la porta laterale per entrare nel garage. Un urlo lancinante echeggiò nel silenzio del vicinato. Steve Bartels spostò la tenda della finestra della sua stanza e spiò.
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