C’è un ragazzo molto giovane che ha in mano molti megatoni di un potere nuovo e sconosciuto e ieri un gruppo di anziani ha cercato di fargli delle domande senza aver ben chiaro l’argomento..

Ho guardato tutte le 5 ore della testimonianza di Mark Zuckerberg al Senato americano e questo è più o meno il riassunto del passaggio storico a cui abbiamo assistito ieri in diretta streaming globale da Washington DC.

Quello che mi è parso di vedere è che ci sia una comprensibile preoccupazione dell’opinione pubblica (e dei suoi rappresentanti) su nuove questioni che lo sviluppo tecnologico sta portando sul tavolo della discussione sociale nel mondo.

Sono indiscutibilmente questioni che necessitano di essere scandagliate e discusse proprio perché inedite e ancora nebbiose. La neutralità editoriale di un Social Network, il suo potere di influenza su grandi masse (elettorali e non solo), le nuove dipendenze psicologiche, la reale consapevolezza degli utenti nella condivisione dei propri dati, la privacy etc. Tutte questioni che nessuno sa ancora come affrontare perché nuove e non ancora interiorizzate e regolate dalla società contemporanea.

 

Zuckerberg si è assunto personalmente la responsabilità di quello che è successo con Cambridge Analytica, ma ha anche espresso lucidamente la consapevolezza di possedere uno strumento estremamente potente e che deve essere trattato come tale. La frase testuale “credo che noi abbiamo una responsabilità più ampia di quello che la legge attualmente ci richiede”, dice molto su quello che è stato lo spirito con cui Mark Zuckerberg ha affrontato questo confronto. Facebook non è più solo un sito per connettere le persone come era nelle sue idee originarie, ma è oggi un mezzo di comunicazione dal potere enorme che va quindi trattato e regolato per il reale potenziale che possiede.

 

Quello che è successo ieri è certamente un bene, una discussione cross-sector (politica e tecnologia) su questioni cruciali per il nostro sviluppo socio-culturale non può che portare ad una evoluzione.

Sarebbe stato molto meglio però se a discutere con Mark Zuckerberg ci fossero state persone più consapevoli del mondo nel 2018. Le domande poste dai senatori al fondatore di Facebook erano deboli, confuse, spesso fuori luogo e molte di esse senza una base di conoscenza dell’argomento. Altre invece divergevano su questioni lontane dallo specifico di Cambridge Analytica. Mi chiedo se ognuno i senatori presenti si sia preparato per l’occasione insieme a qualche esperto di fiducia.

Inoltre mi dolgo a constatare che la supponenza della classe politica è certamente una caratteristica diffusa ad ogni latitudine. Alcuni senatori infatti ponevano le domande non per ascoltarne la risposta ma per pretendere la risposta che loro desideravano. Uno dei senatori ha addirittura esplicitato il suo disappunto quando alla domanda: “Facebook è nato in un dormitorio universitario, solo gli Stati Uniti permettono questo nel mondo”, Zuckerberg ha risposto: “beh, ci sono molti posti nel mondo dove questo è possibile”. Il patriottico senatore sbigottito ha replicato con: “Ma come? Avrebbe dovuto semplicemente rispondere SI, assumo che la sua risposta sia stata SI”.

 

Ho anche annusato un eccesso di severità ipocrita da parte della classe politica sui comportamenti di un’azienda privata. La mia sensazione nasce dal fatto che la politica americana (e non solo) troppe volte in passato si è dimostrata conciliante e a volte addirittura complice dell’aggressività contro i consumatori da parte di grosse aziende private. Sto parlando di monopoli tollerati, indifferenza verso i consumatori ingannati o raggirati, o addirittura, come succede oggi, parlo dell’esplicita opposizione a regolare fenomeni come la diffusione delle armi che negli Stati Uniti causa evidenti problemi sociali.

Mi appare evidente ancora una volta che la politica americana sia pesantemente influenzata, in maniera diretta o indiretta, da alcuni settori dell’industria privata che fa chiudere alla stessa uno, due o tre occhi, ad esempio, sulle aziende dell’area NRA, mentre si irrigidisce su aziende che probabilmente non partecipano economicamente alle campagne elettorali.

 

Un’altra impressione che ho avuto è che si accusa la piattaforma Facebook di non essere abbastanza attenta ad alcuni utilizzi non accettabili che si possono fare dei suoi sistemi. In particolare uno dei senatori chiede conto a Facebook di un episodio in cui un’agenzia immobiliare ha targettizato le sue vendite escludendo, attraverso i filtri disponibili, gli afro-americani. Questo è un comportamento probabilmente discriminatorio da parte di un utilizzatore, ma la domanda è: dobbiamo davvero incaricare la piattaforma di prevedere tutto lo spettro dei possibili utilizzi inaccettabili dei propri sistemi? Sarebbe come chiedere spiegazioni al proprietario di una casa per non aver vigilato abbastanza quando qualcuno gli ha disegnato una svastica su un muro.

Stiamo chiedendo a Facebook di rimuovere i filtri sull’etnia, sulla religione o sulle caratteristiche fisiche per evitare filtraggi di natura discriminatoria? Si può discriminare su molte altre cose, si dovrebbero eliminare tutti i filtri?

Di nuovo questa puntigliosità così capillare rivolta a Mark Zuckerberg su episodi di utilizzi inappropriati ha il sapore più di una inquisizione che di un tentativo di comprendere e fronteggiare i nuovi problemi all’orizzonte.

 

Per concludere la sfilata delle inadeguatezze del congresso americano, registro l’odioso e oltremodo insistente tentativo fatto da più di un senatore di ottenere una forma di supporto da parte di Zuckerberg su alcune leggi di loro interesse. Oltre al meschino tentativo di utilizzare una seduta sullo scandalo Cambridge Analytica per ottenere il favore politico personale, è imbarazzante come tali senatori non comprendano che Mark Zuckerberg stia ponendo moltissima attenzione sul mantenere la sua piattaforma su una posizione neutrale rispetto a temi sociali, politici e culturali. Soprattutto questi anziani senatori dovrebbero spiegarci -come- Mark Zuckerberg avrebbe dovuto supportare l’approvazione di questa o quella legge attraverso Facebook.

 

Nonostante ciò Zuckerberg è rimasto freddo, ma non ha certo fatto la figura del mattatore, il suo atteggiamento era intimidito, anche se comprensibilmente. Sfido chiunque a non essere in soggezione vista l’autorità delle persone da fronteggiare, visti i milioni di occhi puntati su di lui in streaming, ma soprattutto vista la consapevolezza che ogni parola che avrebbe pronunciato aveva un potenziale di 2 punti percentuali in più o in meno sulle quotazioni finanziarie e sulla reputazione del suo colosso.

 

A domande confuse Zuckerberg ha risposto spesso in maniera generica, a volte evitando di esporsi o spostando l’attenzione, tranne in qualche occasione in cui le sue risposte hanno fatto chiarezza (o mi illudo che lo abbiano fatto visto che il complottismo non si scioglie neanche di fronte alle evidenze) su alcune leggende metropolitane che riempiono le opinioni degli utenti del mondo intero. La veridicità di queste affermazioni è data dal fatto che sono state fatte davanti al congresso americano in una testimonianza ufficiale e che le risposte erano perentorie e dirette e non lasciavano spazio ad interpretazioni alternative.

  • La prima è che Facebook non vende i propri dati a terzi, infatti l’instradamento delle pubblicità sui profili degli utenti viene fatto internamente a Facebook senza rilasciare dati a terzi all’esterno della piattaforma.

 

  • La seconda è che Zuckerberg ha risposto negativamente alla domanda di un senatore che gli chiedeva se fossero stati assunti psicologi per studiare interazioni che incrementassero il boost di dopamina (ad esempio sui like o sulle notifiche) che aumenterebbe negli utenti la dipendenza psicologica dal suo prodotto.

 

  • La terza è che la proprietà dei dati che carichiamo sulla piattaforma rimane dell’utente, non è vero che passa a Facebook.

 

  • La quarta è che Facebook non usa nessuna tecnologia per registrare ed estrapolare informazioni dalle conversazioni audio che avvengono fra le persone con lo scopo di veicolare messaggi pubblicitari. E’ stato anche simpatico ascoltare Zuckerberg richiedere qualche ulteriore secondo per precisare ulteriormente che l’unico audio che viene registrato è quello insieme ai video… “per assicurare che i video abbiano anche l’audio”.

 

Ad ogni modo la mia personale opinione è che Facebook, per voce del suo fondatore e CEO, abbia espresso il suo genuino impegno a migliorare il servizio per fronteggiare i pericoli potenziali di cui abbiamo avuto solo un assaggio negli scorsi mesi.

Il mio timore è che il tempo necessario per assimilare e regolare i cambiamenti che queste nuove tecnologie stanno portando sia più lungo della nostra velocità di reazione.

L’anacronismo degli inquisitori di Mark Zuckerberg, che sono anche le persone incaricate di comprendere e regolare questi cambiamenti, non mi fa ben sperare.

 

Facebook non è mai stata la mia azienda preferita, non la pongo fra le aziende che impiegano le loro enormi risorse per migliorare la nostra civiltà, ma non la considero neanche quel demonio che macina diritti ed esseri umani per profitto che la nostra cultura complottista spesso ci dipinge. Continuo a vedere una visione sia nelle parole di Zuckerberg che nello sviluppo che la piattaforma sta attraversando in questo periodo (l’ultimo cambiamento delle politiche di priorità del wall non va certo nella direzione del profitto a tutti i costi).

 

Non ho paura di Facebook adesso, vedo nell’azienda Social Network la volontà di rimanere un social network (o l’incapacità di diventare altro). La raccolta di dati e tutte le tecnologie che si stanno sviluppando sono oggi utilizzate per vendere più efficacemente la pubblicità e poco di più. Ho paura di quello che le tecnologie che stiamo costruendo oggi per vendere pubblicità potrebbero fare se cadessero in futuro nelle mani sbagliate, come aziende senza scrupoli o regimi totalitari. Soprattutto ho paura che la politica arrivi tardi nell’accorgersi dell’energia potenziale che si sta caricando in questi strumenti. Come disse Zeynep Tufekci in un interessante TED Talk, “Stiamo costruendo una distopia solo per far cliccare la gente sulle pubblicità”.