Un viaggio lungo passa attraverso molte notti e molti giorni. Periodicamente ricorre quel momento in cui l’ordine germanico con cui si è preparato lo zaino prima della partenza è diventato solo un ricordo.

Magliette appallottolate, bucce di frutta che inumidiscono sacchetti di carta e gli oggetti a cui si era data una collocazione scientifica per volume, peso e frequenza di utilizzo sono sparpagliati a caso in tasche periferiche e cerniere laterali.

Allora si decide di sedersi per terra e dedicare con pazienza qualche minuto a svuotare ogni tasca per poi riporre di nuovo tutto dentro ordinatamente, decidendo magari di lasciare qualcosa per strada per ripartire più leggeri e consapevoli, da viaggiatori più maturi.

 

Ripongo dentro lo zaino la capanna natia, un rifugio solido anche se imbottito di così tanta bambagia che dentro quasi non si respira.

Ripongo l’utopia, contemporaneamente motore e zavorra di ogni passo.

Ripongo il sorriso che scalda gli occhi, le mani e le guance, familiare come un camino acceso in una serata gelida, rassicurante anche quando è confuso come uno scarabocchio.

Ripongo l’adorabile imprevedibilità della mattacchiona che non stringerò mai abbastanza.

Ripongo la maturità cruda di una piccola Mary Poppins a cui è bello dare e da cui è bello prendere.

Ripongo i mille abbracci sempre aperti da cui riconosco senza esitazione quale posto devo chiamare casa.

 

Ma per le prossime tappe porterò con me anche allievi affamati di libertà e generosi di soddisfazioni, apprendisti che è bello portare per mano per imparare insieme. Aggiungo anche teste coronate tronfie di storici successi e nuovi scorci urbani da calpestare con gli scarponi pesanti.

Porterò nel mio zaino anche un incontro atteso a lungo che ha superato le aspettative e anche le nuvole bianche che sovrastavano il teatro, massaggiate dalle vibrazioni dei tasti del maestro di sospiri.

Sono costretto a portare con me anche un barattolo di paure per una civiltà, sedicente moderna, che sbriciola progressi di secoli avviandosi verso un periodo di nebbie e conflitti.

 

Lascio invece sull’asfalto una scommessa persa, una puntata incauta su un cavallo deludente. Lascio un anno avaro e lascio anche qualche amicizia fatta durante un viaggio importante. Le lascio lì, sul solito tavolo, così che qualcuno ne possa giovare come io non ho saputo fare.

 

Mi rialzo, rimetto lo zaino in spalla e mi fermo in piedi a guardare il sentiero che si appuntisce all’orizzonte. Apro la mappa, qual’è la prossima tappa?